A Roma, nel XII secolo, era il Papa a dare il primo annuncio della Risurrezione del Signore prima di recarsi dal Laterano a santa Maria Maggiore, la basilica stazionale del giorno di Pasqua, per celebrare la Messa. E lo faceva con una cerimonia suggestiva compiuta nell’oratorio di san Lorenzo al Laterano, chiamato Sancta Sanctorum perché custodiva una reliquia della Croce e un’antica immagine del Salvatore chiamata acheropita, cioè non fatta da mani d’uomo. Il Papa venerava la Croce baciandola e poi l’icona che riproduceva il corpo di Cristo a grandezza quasi naturale lavandone e baciandone i piedi. Poi acclamava per tre volte: Surrexit Dominus de sepulchro, alleluja. Tutti rispondevano: Qui pro nobis pependit in ligno, alleluja. L’annuncio pasquale consisteva dunque nel fare memoria delle due inscindibili componenti del Mistero pasquale: la morte sul legno e l’abbandono del sepolcro.

La celebrazione della messa pasquale mattutina era il risultato del progressivo slittamento della Veglia al sabato mattina. La Messa celebrata dal Papa doveva essere quella contenuta nei libri liturgici romani del VII secolo i cui testi, in gran parte, sono passati nel messale del beato Paolo VI attualmente in uso. Di quell’ordinamento abbiamo conservato molti elementi altamente significativi della Pasqua. Anzitutto la lettura della pericope paolina di 1Cor 5,7-8 sull’abolizione del lievito vecchio per essere pasta nuova. Come gli Ebrei, appena immolato l’agnello, dovevano mangiare per tutto il tempo pasquale pane azzimo, così i cristiani, dopo l’immolazione di Cristo, devono essere sempre puri ed esenti da ogni fermento di malizia e vivere costantemente una vita di santità e verità. Poi il Salmo 117, uno dei salmi del grande Hallel ebraico che fin dal IV secolo ha costituito il testo del canto responsoriale di Pasqua al quale il popolo rispondeva: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore, alleluja». E si può ritenere che questo sia stato uno dei lasciti più significativi della Sinagoga alla Chiesa primitiva.

Ma un’altra perla della liturgia medievale è stata conservata nella nostra, e di cui purtroppo non si apprezza tutto il valore: è la “Sequenza” Victimae paschali laudes (foto 3) composta intorno al 1030 da Wipo di Borgogna, cappellano dell’imperatore Corrado II. È uno tra le migliaia di testi poetici scritti per il canto liturgico che a quell’epoca furono composti in tutta Europa per fare da preludio solenne alla proclamazione evangelica e spesso sfocianti nell’Alleluja. Un tentativo riuscito di creare un rapporto equilibrato tra musica e parola, ma anche di dare voce all’interpretazione poetica degli eventi salvifici per confortare, attraverso la musica semplice e cantabile, la componente emotiva nella partecipazione liturgica.

Questa è una delle quattro più significative sequenze che furono selezionate per il messale di san Pio V e conservate nell’attuale liturgia. Il testo è inscindibile dalla sua melodia gregoriana che produce, con il suo slancio lirico, il clima del mistero della Risurrezione davanti al quale i cristiani non posso far altro che «immolare lodi». Perché «l’Agnello ha redento le pecore» cioè «Cristo innocente ha riconciliato i peccatori con il Padre». La sequenza canta del duello ingaggiato tra la morte e la vita e conclusosi con la vittoria del «Principe della vita» che «morto regna vivo».

Singolare è anche la costruzione della seconda parte della sequenza che inizia con la domanda che la comunità cristiana rivolge a Maria di Magdala, prima testimone della Risurrezione: «Dicci Maria, cosa hai visto per la via?»: «Il sepolcro del Cristo vivente e la gloria di colui che è risorto. I testimoni angelici, il sudario e le vesti» è la risposta. «È risorto Cristo mia speranza e precede i suoi in Galilea» continua acclamando la testimone che suscita col suo canto l’acclamazione assembleare: «Sappiamo ora che Cristo è risorto veramente dai morti: e tu Re vittorioso abbi pietà di noi». La sequenza costituisce un esempio di proclamazione del Kérigma pasquale in forma culturale, con la musica e il canto, con la poesia e la linea melodica pura, per toccare le fibre più intime del cuore umano e orientarlo alla vita in Cristo.

Nel giorno di Pasqua, perciò, la Chiesa inizia la proclamazione kérigmatica dell’evento della Risurrezione del Signore e la protrae per tutta la cinquantina pasquale, fino a Pentecoste. Viene proclamata la novità assoluta di tale evento che cancella qualsiasi altra aspettativa religiosa. Per tutto il tempo pasquale, infatti, la liturgia non proclama che pericopi del Nuovo Testamento, e si impegna nella lunga narrazione degli Atti degli Apostoli che ha per protagonista Cristo risorto che opera nella sua Chiesa per raggiungere con essa gli estremi confini della terra. La testimonianza apostolica è il fondamento della fede, che non è semplice esperienza personale, ma scaturisce dall’ascolto delle testimonianze; e i testi biblici della liturgia pasquale sono essenziali per plasmare il nucleo centrale della fede cristiana: Cristo morto e risorto.
don Leo Di Simone per Condividere