«Dio onnipotente ed eterno, che hai racchiuso la celebrazione della Pasqua nel tempo sacro dei cinquanta giorni, rinnova il prodigio della Pentecoste: fa’ che i popoli dispersi si raccolgono insieme e le diverse lingue si uniscano a proclamare la gloria del tuo nome» (Orazione Colletta della Solennità di Pentecoste). Il calcolo simbolico del tempo per gli antichi è sempre stato importante: la celebrazione della Pasqua è racchiusa nel “tempo sacro” di cinquanta giorni. La Chiesa prolunga la Domenica di Risurrezione per una settimana di settimane. Quello che noi chiamiamo tempo di Pasqua San Basilio lo chiamava «le sette settimane della santa Pentecoste»; il «gioioso spazio», secondo Tertulliano.

Il tempo della Pasqua è caratterizzato dalla luce, dalla gioia. L’orazione definisce questi cinquanta giorni “tempo sacro”, tempo, cioè, inondato dalla presenza di Dio. Non possiamo mai cogliere in pienezza, con la nostra intelligenza, i misteri di Dio ma possiamo arrivare alla soglia della tenda della sua presenza e intravedere, gustare, sentire il profumo della sua presenza attraverso i racconti (storia della salvezza) e l’esperienza liturgica. Il libro dell’esodo (Es 19,3-20) ci racconta del popolo d’Israele radunato ai piedi del monte Sinai che riceve da Dio il «dono della Torah». La presenza di Dio si manifesta il terzo giorno di preghiera sul far del mattino, con tuoni, lampi, una nube densa e un suono fortissimo di tromba. Tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. Il parallelo con il racconto lucano del giorno di Pentecoste è immediato: «Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro» (At 2, 1-3).
I Padri evidenzieranno il parallelismo tra la legge del primo testamento e lo Spirito del nuovo testamento. La primitiva celebrazione cristiana prevedeva fondamentalmente due segni che dovevano rimandare alla gioia pasquale: l’assenza di qualsiasi forma penitenziale (era infatti proibito il digiuno) e la preghiera in piedi. Alcuni giorni della “cinquantina pasquale” assumono delle caratteristiche peculiari. La prima settimana pasquale: Egeria (383 d.C.) ci racconta che a Gerusalemme in quei giorni il Vescovo (Cirillo o Giovanni di Gerusalemme) teneva le catechesi mistagogiche ai neofiti. «Quando vengono i giorni di Pasqua, durante gli otto giorni, cioè da Pasqua fino all’ottava… il Vescovo sta in piedi, appoggiato all’interno dei cancelli che vi sono alla grotta dell’Anastasis, e spiega tutto ciò che si fa al battesimo. A quell’ora nessun catecumeno ha accesso all’Anastasis; solo i neofiti e i fedeli che vogliono sentir parlare dei misteri entrano nell’Anastasis. Si chiudono le porte perché nessun catecumeno si avvicini…» (Diario di viaggio, pp. 139-140).
Anche a Roma i neofiti sono “protagonisti” in questa prima settimana. Il sabato, più tardi si tenderà a farlo di domenica, depongono le loro vesti bianche che hanno indossato a partire dalla Veglia pasquale. Da questo rito deriverà il nome di questa domenica in albis. I cristiani rinnoveranno le loro promesse battesimali. Le preghiere liturgiche, dette eucologie, sono fortemente caratterizzate dal senso battesimale. Il cinquantesimo giorno: lo Spirito Santo dona a questo giorno la pienezza della Pasqua. San Giovanni Crisostomo chiamerà questo giorno “Metropoli delle feste”. Nei secoli la festa di Pentecoste si configurerà come un riflesso della Pasqua, introducendo la celebrazione di battesimi e una vigilia di preghiere: sarà la festa dello Spirito Santo, è il giorno della Sua discesa sugli Apostoli e Maria; ma si romperà quell’unità granitica con la Pasqua. Nel secolo VII si aggiungerà un’ottava alla festa di Pentecoste per celebrare i sette doni dello Spirito Santo. Successivamente, per visualizzare la discesa dello Spirito Santo, in vari luoghi invalse l’uso di far cadere o lanciare i petali di rose (Pascha roseum) durante il Gloria.
don Salvatore Rubino per Condividere
Direttore Ufficio liturgico Diocesi di Oria (Br)