Il 1° aprile del 2007 iniziava il suo ministero pastorale nella nostra Chiesa locale mons. Domenico Mogavero, 80° Vescovo dalla istituzione della Diocesi (1093).
Dopo otto anni è possibile delineare una traccia di governo pastorale, una sorta di linea di rotta che monsignor Mogavero sta indicando alla barca della Chiesa mazarese. Una rotta non semplice a causa del mare burrascoso e delle continue intemperie e tempeste che la nostra Chiesa ha attraversato e continua ad attraversare. Non si tratta però né di un bilancio, né di un giudizio, in quanto non siamo alla fine di un episcopato e non è ancora tempo di valutazioni conclusive. È piuttosto un tentativo di discernimento pastorale e spirituale riguardo alle indicazioni e ai temi di governo diocesano voluti personalmente dal Vescovo.
A lui Mazara del Vallo appare come la Chiesa locale del dialogo interculturale e interreligioso (rotta profetica), della ministerialità laicale (rotta regale), del primato delle relazioni umane (rotta sacerdotale), infine della promozione socio-politica del territorio, bene comune dell’intero popolo di Dio. Attraverso queste quattro direttrici il nostro Vescovo sta guidando la barca della Chiesa mazarese, proponendola, secondo una precisa prospettiva battesimale, come porzione del popolo di Dio composto da uomini e donne giusti, profeti, re e sacerdoti.
Con riguardo alla rotta profetica il binomio ecclesiale Mogavero-Mazara del Vallo ormai è diffusamente riconosciuto e cercato su questioni concernenti il Mediterraneo, le Chiese della sponda sud, il cristianesimo nei paesi del Maghreb, le migrazioni, i clandestini, i profughi, il dialogo, l’integrazione, la tradizione islamica, il terrorismo. La teologia pastorale identificherebbe queste problematiche come di segni dei tempi; il Concilio stesso riconoscerebbe questa rotta come autentica profezia che l’umanità si attende dai cristiani di Mazara del Vallo, profezia per la quale Dio stesso dona continuamente il suo Spirito di verità alla Chiesa mazarese. Quasi a bassa voce mi chiedo: ma tutti siamo realmente consapevoli che dal nostro mare passino la profezia e la responsabilità concreta della nostra Chiesa locale nei confronti della famiglia umana e della storia, in una parola del nuovo umanesimo mediterraneo?
Attualmente in diversi uffici e servizi della pastorale diocesana e dell’amministrazione economica e giuridica sono presenti direttori e responsabili laici: insegnamento della religione cattolica, ecumenismo, caritas diocesana, economato, giornale diocesano, museo diocesano, cancelleria; tutti settori pastorali con esercizio di responsabilità e determinanti per il vissuto ecclesiale delle comunità parrocchiali ed ecclesiali in genere. Inoltre vi sono diversi laici che negli uffici svolgono il compito proprio laicale della collaborazione e della corresponsabilità. È evidente il valore che il Vescovo riconosce alla funzione progettuale del consiglio pastorale diocesano. Tutti questi elementi indicano, innanzitutto, la rotta regale che il Vescovo intende continuare a tracciare per la nostra Chiesa attraverso la valorizzazione della ministerialità laicale e la scelta sinodale della corresponsabilità, della condivisione e della collaborazione al governo. La rotta battesimale, prima profetica ora regale, chiede e attende da tutti una conversione di mentalità in modo che tutte le comunità ecclesiali, per primi gli uffici e i servizi diocesani, custodiscano il primato dell’evangelizzazione, la dignità battesimale, il riconoscimento e la valorizzazione della diversità ministeriale – seppure complementare – tra presbiteri e laici nella cura pastorale. Un segno di questa rotta della regalità é il sorgere, come dono di grazia, di un gruppo di laici chiamati da Dio, nello Spirito, al diaconato permanente.
Le nuove piattaforme della comunicazione (Facebook, Twitter … ) che si raccontano attraverso i “contatti” e i “mi piace”, gli inviti numerosi a partecipare ad eventi, le numerose visite che riceve e che ricambia, se non vengono confusi e ridotti al ruolo, alle circostanze e all’apparire, indicano il valore e il primato che il Vescovo dà alle relazioni umane. Relazioni spesso cercate, volute, trovate e costruite oltre il recinto delle pecore. È quel sottile, per questo debole e fragile, legame che c’è fra relazioni ed evangelizzazione. È quel sottile stile di voler uscire, di andare fuori, esodale appunto, che è necessario, come aprire una finestra, perché la casa stessa respiri; come aprire una porta perché la casa stessa diventi abitale e visitabile. È quello stile discreto nell’avviare amicizie, dialogo, prossimità, che fa sentire ognuno vicino all’altro, prossimo, amico; e in questo e per questo pastore. La ricerca dell’apparire sarebbe stata più facile. Ma esso è, come il male, banale; non sa perdere, non accetta di sbagliare, non sa chiedere scusa, non sa ricominciare. Non esiste una rotta dell’apparire perché la barca, a causa del suo peso, non reggerebbe un’umanità affranta e stanca ma affonderebbe. Il primato delle relazioni umane, della prossimità, del legame, è la rotta sacerdotale della mediazione. Porsi tra gli uomini come unico mediatore di Dio è l’opera di Gesù Cristo che avviene nello Spirito eternamente e storicamente. La Chiesa, sua sposa, sacramento universale di salvezza, continua, testimonia, vive, celebra, racconta, insegna la mediazione salvifica di Cristo. Porsi tra gli uomini come esperienza di mediazione è la via indicata dal Vescovo; via esistenziale dei sacramenti, umanità sacramentale. È amico e fratello, prossimo e compagno. Essere riconosciuti e chiamati per nome, è l’umanità della fede.
Il diritto canonico (luogo teologico da dove proviene il nostro Vescovo) evidenzia che l’identità di una Chiesa locale si definisce in base al territorio, alla porzione concreta di popolo di Dio, al vangelo e ai sacramenti. È l’unità e la sintesi delle rotte battesimali: profetica, regale, sacerdotale. Questa via di unità e di sintesi, carisma proprio di un vescovo, custode della fede e dei carismi di un popolo, si attua concretamente attraverso la scelta coraggiosa della promozione socio-politica delle persone e del territorio. Sono le insidiate vie del bene comune, attraverso l’economia, il lavoro, la legalità, le istituzioni, la politica. Forse di questa rotta del bene comune che riguarda tutti come unità e come popolo, bisogna ricordare alcuni segni propri della sintesi attuata da monsignor Mogavero: la scelta della solidarietà e della giustizia come forza del bene comune; la scelta della cultura e della bellezza come gusto del bene comune; la scelta del dialogo con le istituzioni come difesa del bene comune. Il territorio della nostra Chiesa locale è attraversato, purtroppo, anche da profonde falde di male e di peccato che generano, condizionano e schiavizzano molta mentalità diffusa. Il Vescovo questo lo sa bene; il bene comune necessità di una virtù di cui il povero don Abbondio non si sentiva fornito: il coraggio. Il coraggio dell’apostolo che lo conduce fin sotto la croce. Il bene comune è nel segno della croce. Forse non solo per il Vescovo.
don Vito Impellizzeri
Ufficio per le Comunicazioni sociali
(Le foto di questo servizio sono di Filippo Serra e si riferiscono alla celebrazione dell’inizio del ministero pastorale del Vescovo in Diocesi, il 1° aprile del 2007).