Se, ancora da piccolo, mi avessero detto che sarei diventato un astronauta o un killer professionista, sarebbe suonato meno assurdo di quello che poi ho scelto di fare. Anzi, di quello che poi ho scoperto di essere. Ho sempre avuto la percezione che la mia vita non poteva essere spesa che per qualcosa di grande, anche nei momenti più bui (che erano bui proprio perché questa grandezza inespressa o repressa mi terrificava). Ma non potevo immaginare che ero nato per appartenere a Gesù Cristo e – attraverso di lui – agli altri. Ci fu addirittura un tempo in cui lo odiavo il Padreterno, mentre gli addossavo la responsabilità di ogni male e sofferenza.

Le mie carte vennero sparigliate quando scoprii che esistevano uomini e donne che prendevano la loro vita a piene mani e ci rinunciavano completamente – ma dico completamente – per far fronte, come eroiche fiaccole, a quel buio di cui io incolpavo Dio. Ricordo ancora quel manipolo di religiosi, un sacerdote (un italiano sulla quarantina) e un paio di suore, in procinto di partire per la mongolia, dove avrebbero stabilito una missione praticamente dal nulla. Dopo chi era già partito per il Kenya, il mato Grosso o chissà dove, questi folli erano una risposta tanto perentoria quanto scomoda alle mie lamentele: «non è vero che Dio non ha fatto niente, ha fatto te». Lo scacco matto fu l’incontro con i Servi del Cuore Immacolato di Maria: io non conoscevo loro ne loro me, ma percepii che mi stavano mostrando a me stesso. Il tira e molla interiore, la lotta con Dio al guado dello Iabbok, durò mesi.
Finchè non cedetti, proprio mentre credevo di poterla chiudere li. «Hai vinto tu – gli dissi – rinuncerò a tutto se sei tu che lo vuoi, anche a quello che mi costa di più: rinuncerò a sposare una donna, ad avere una famiglia». Avevo 16 anni. Con tutta la sconsideratezza e l’energia che ne venivano. Dovettero seguire tenacia, amore e una buona dose di pazienza (con me stesso in primis). Per arrivare a professare i voti temporanei (di povertà, castità, obbedienza e fedeltà al Papa) a 21 anni e quelli perpetui a 26. E per essere ordinato sacerdote a 28. A 34 ci arrivo grato. Fin nel midollo però.
Padre Bruno De Cristofaro per Condividere