Papa Francesco ci sta mostrando, fin dall’inizio del suo ministero di Vescovo di Roma, che i gesti comunicano più di qualsiasi discorso o di una predica. Abbiamo anche noi sperimentato come «le parole insegnano, gli esempi trascinano». A proposito della bellezza, della necessità e della fatica dell’accogliere gli altri, il Papa venuto «dalla fine del mondo» ci sta donando, con il suo linguaggio semplice e diretto, degli insegnamenti forti e concreti. Nella sua prima e programmatica Esortazione apostolica «La gioia del Vangelo» si possono delineare alcuni aspetti importanti dell’accoglienza cristiana: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, cordialità che non condanna. Se prendiamo un dizionario della lingua italiana apprendiamo che accogliere significa ricevere o ospitare qualcuno o disporre per una persona un ambiente. Il primo passo per accogliere veramente significa fare spazio dentro di noi, comporta un avvicinarsi deciso e nello stesso tempo delicato all’altro che percepiamo essere in difficoltà o nel bisogno. L’accogliere quindi conduce a farsi vicini, a non essere freddi e insensibili, a non aspettare necessariamente che l’altro “bussi” alla mia porta di casa. L’accoglienza porta ad essere persone che ascoltano, che cercano di comprendere le ferite e il dolore dell’altro. L’accoglienza si realizza dove al centro c’è la persona da accogliere e non il mio desiderio di sentirmi a posto per offrirgli qualcosa. Naturalmente accogliere significa davvero essere disposti a “patire” con e per l’altro.
L’accoglienza autentica crea una relazione. L’altro non è un “utente”, anzi diventa “compagno” (colui con il quale si condivide il pane e non solo). Accogliere implica diventare responsabile della persona ospitata. Ogni volta che accogliamo qualcuno la nostra vita cresce e ci rendiamo conto – prima di ogni altro riferimento – che siamo fratelli in umanità. Qui ci vengono in mente le parole del cardinal Paul Emile Leger: «Solo chi accetta di soffrire per aiutare il fratello può nutrire la speranza di cambiare il mondo». Il “cardinale dei lebbrosi” (canadese d’origine, nel 1968 aveva rinunciato alla prestigiosa arcidiocesi di Montreal per condividere la vita degli ospiti di un lebbrosario del Camerun) ci ricorda che la vera accoglienza conduce a prendere su di sé l’altro, con i suoi limiti e le sue fragilità, con la prospettiva di “accettare” atti anche violenti e/o offensivi. Accogliere non è mai allora condannare, ma aiutare e sostenere la persona perché migliori facendo il suo personale cammino di rinnovamento e di riparazione. Oggi accogliere richiede «fare strada insieme» all’altro. Le diverse debolezze psicologiche e relazionali di tanti esigono maggiore capacità di attenzione e di concreta disponibilità. L’accoglienza si deve declinare nell’incoraggiare e motivare l’altro ad essere fiducioso nelle sue potenzialità e aperto alle sfide che l’esistenza quotidiana ci mette davanti.
Papa Francesco al n. 253 dell’Esortazione ci provoca a mettere in atto un importante ambito dell’accoglienza cristiana: «Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza». Affetto e rispetto ci vengono proposti di praticare per i nostri fratelli musulmani.
Da più di venti anni – mi si permetta una mia testimonianza personale – vivo “vicino” a tanti credenti nell’Unico Dio Clemente e Misericordioso, ho imparato che l’accoglienza per essere autentica deve sempre essere attuata nella gratuità, nella condivisione e nella volontà di imparare dall’incontro con ogni donna e con ogni uomo. Accogliere e accogliersi deve restare il primo obiettivo di ogni credente e di ogni comunità che cercano di essere fedeli all’agire creativo e inesauribile di Dio nella storia. L’accoglienza chiede nuovamente – come suggerisce il cardinale Tettamanzi – di non rinchiudersi in se stessi, ma di protendersi, sporgersi verso il prossimo. Certo l’accoglienza implica anche il rispetto delle regole, della legalità da parte di chi arriva in Italia, però occorre un approccio realmente solidale, perché ci insegna l’Arcivescovo emerito di Milano «l’importante è non mettere mai in discussione l’uguale valore di ogni persona».
Don Francesco Fiorino