Dicono che non c’è più la Sicilia di una volta. Lo sostengo anche io. E ho cercato di spiegarlo nel mio libro Non c’è più la Sicilia di una volta, pubblicato a febbraio da Laterza. Ho preso ad esempio alcune espressioni culturali del presente per tentare di dimostrare che l’Isola non è più quella descritta da Verga, Pirandello, Brancati, Guttuso, Tomasi di Lampedusa e Sciascia, malgrado sia ancora fortissima la propensione a decodificare il contemporaneo con la cassetta degli attrezzi fornita dagli immensi artisti del recente passato. Non so se ci sono riuscito, ma so che nelle molte presentazioni del libro, in giro per la Sicilia, mi sono trovato al centro di dibattiti accesi e appassionati.

Io cercavo di spiegare, forse malamente, che il racconto che la Sicilia fa di se stessa è molto più avanti dell’immagine sedimentata in alcune opere letterarie e artistiche che hanno finito per ingabbiare la Sicilia dentro potenti, e prepotenti, stereotipi; ma spesso mi sentivo rispondere che la Sicilia non è cambiata, anzi non cambia mai. E per dimostrare l’immodificabilità della Sicilia (irredimibile e stagnante) mi venivano portati davanti inefficienze, clientele, carenze, difetti e dati economici che confermavano la sua minorità rispetto alla modernità. Ne ho tratto una lezione. Per moltissimi siciliani che in Sicilia vivono e combattono giornalmente questa è una regione che resiste al cambiamento, inteso come sintomo di miglioramento. Eppure, anche drammaticamente, la Sicilia è cambiata: nel bene o nel male. Nel bene, ad esempio, lo Stato in Sicilia è riuscito a dare una sferzata letale alla mafia sanguinaria e terrorista di Totò Riina. Nel male, la Sicilia ha continuato a devastare il suo paesaggio e le sue coste, sfregiandole di abusivismo edilizio.
Eppure, per chi ci vive, la Sicilia è avvertita come una terra restia al cambiamento, ma soprattutto al miglioramento. Soprattutto la politica e la burocrazia vengono additate come cause fondamentali di ritardo e di resistenza a ogni possibilità di affrancamento dai vizi capitali della Sicilia. È così? Forse sì.Un’amministrazione pubblica invadente e ostile ha finito per essere percepita come un fattore di ritardo rispetto a ogni tentativo di innovazione. Eppure credo che sia il momento di liberarsi da questo pessimismo cronico. Molti singoli esempi confermano che in questa terra esistono energie in cerca solo di spazi per esprimersi. La politica, checché se ne dica, è il frutto delle scelte elettorali dei siciliani. E la burocrazia è composta da cittadini che, allo stesso tempo, sono vittime e privilegiati del sistema. In parole povere: l’impiegato della Regione che dal suo ufficio ostacola il miglioramento della sanità pubblica è allo stesso tempo un cittadino che un giorno sarà costretto a usufruire dei cattivi ospedali che lui stesso ha fatto funzionare male.
Sarà possibile liberarsi di questa contraddizione? Non lo so. Ma forse è il momento di non dare sempre la colpa agli altri, ma a noi stessi. Ed è il primo passo per credere che non c’è più la Sicilia di una volta. Ne esiste un’altra, diversa e presente, che va scoperta con una briciola di ottimismo e qualche grammo di speranza.
Gaetano Savatteri
I siciliani potrebbero essere i più ricchi d’Europa, ma di fatto sono quasi tutti col piattino vuoto in mano. Come ma?