LA GIORNATA/Il lavoro che non c’è, cruccio di tanti: c’è ancora spazio per un domani diverso?

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Domenica 1° maggio si celebra la memoria liturgica di san Giuseppe lavoratore e la festa del lavoro. Ma è una festa dal sapore assai amaro. Da diversi anni, infatti, in questa circostanza si contano non le conquiste dei lavoratori e i progressi nel mondo del lavoro quanto a occupazione e sicurezza, ma solo il progressivo irrefrenabile aumento della disoccupazione e la rassegnata assuefazione alla mancanza di lavoro da parte delle giovani generazioni. Ormai sembra che nessuno creda più in una soluzione soddisfacente e rapida del problema. Si allarga sempre più il numero di coloro che stanno abbandonando la speranza di trovare un lavoro, sotto l’effetto di una fatalistica apatia, stanca di subire continui rifiuti e sconfitte. Giustamente si levano voci critiche nei confronti di un sistema che continua a tutelare chi il lavoro ce l’ha, manifestando poca propositività nella ricerca di nuove forme di occupazione.

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Eppure il lavoro ha una stretta connessione con la dignità della persona e con la sua realizzazione: «Il lavoro, infatti, riguarda direttamente la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità. Il valore primario del lavoro è il bene della persona umana, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali. Da qui deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità» (Papa Francesco, Discorso agli operai delle acciaierie di Terni – 20 marzo 2014). Peraltro, occorre osservare che la mancata occupazione può determinare forme di esclusione sociale, attraverso lo sfruttamento dei lavoratori costretti a subire la violenza iniqua del lavoro nero o con il reclutamento da parte della malavita organizzata dei soggetti più indifesi, anche minorenni. Per non dire della condizione degli immigrati, particolarmente esposti all’aggressione del caporalato e all’allettamento del guadagno facile negli ambienti malavitosi. In un panorama di complessa e marcata difficoltà sembrerebbe difficile trovare rimedi accessibili ed efficaci.

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E, probabilmente, sul piano concreto non c’è molto spazio per l’ottimismo. Ma sotto il profilo degli atteggiamenti si deve puntare fondamentalmente su due risorse decisive: «La creatività di imprenditori e artigiani coraggiosi, che guardano al futuro con fiducia e speranza. E la solidarietà fra tutte le componenti della società, che rinunciano a qualcosa, adottano uno stile di vita più sobrio, per aiutare quanti si trovano in una condizione di necessità» (Papa Francesco, Discorso citato). A mali estremi, estremi rimedi, recita un noto aforisma. E in una situazione assai grave a ciascuno è chiesto di dare il proprio apporto per superare la crisi che ci sovrasta. nessuno pensi, perciò, di chiamarsi fuori. Su tutti incombe, infatti, il dovere di offrire un presente dignitoso alle giovani generazioni e di preparare un futuro accettabile a quelle che verranno. È questa la speranza da alimentare.

Monsignor Domenico Mogavero per Condividere

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