[IL RACCONTO] Margherita Asta: «Così ho superato il muro del silenzio»

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Tutto è successo in una mattina, «allorchè mi ritrovai a vivere da persona adulta nonostante fossi adolescente. In un momento. D’improvviso, senza più mia madre e i miei fratelli, dilaniati dal tritolo, morti senza un perché». Era bambina Margherita Asta quando la sua mamma Barbara Rizzo e i suoi due fratelli Salvatore e Giuseppe il 2 aprile 1985 saltarono in aria per mano mafiosa. Quella che chiamano la Cupola voleva far fuori il giudice Carlo Palermo che da quaranta giorni stava indagando su un traffico illecito di armi e droga. Farlo saltare in aria e zittire. Per una manciata di secondi, però, la bomba uccise e fece a pezzi la mamma e i fratelli di Margherita. Non c’entravano nulla; ma fu la strage che macchiò persino il muro delle case attorno, col sangue di tre innocenti. Margherita oggi è una donna che ha superato il muro del silenzio, «quello del lutto che sino a pochi anni fa credevo soltanto una cosa tutta mia. Così mi accorsi che stavo facendo un torto a mia madre, ai miei fratelli». Furono proprio i loro corpi dilaniati tra le lamiere accartocciate, riviste per la prima volta nelle foto durante il processo contro gli esecutori, ad accendere la rabbia di Margherita. Da allora non s’è più fermata per non vanificare il sacrificio di sua madre e dei suoi fratelli.

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«Mi sento forte più di ieri, però mi accorgo che più ne parlo più sento il dolore crescere. Da fuori non si vede, ma dentro so solo io quello che sento». Uno sguardo verso il mare quando passa per Pizzolungo, per salutare con gli occhi quella stele voluta dal padre, un segno della croce davanti il busto di Barbara, Giuseppe e Salvatore. Col sorriso impresso sul bronzo, lo stesso che – ricorda sempre Margherita – nella quotidianità dell’adolescenza e il 22 febbraio, «giorno di festa a casa nostra – dice – i miei fratelli e mia madre, infatti, erano nati quel giorno, lo stesso che si festeggia Santa Margherita». Una strage per tanto tempo dimenticata quella di Pizzolungo, «perché è mancata negli anni la volontà politica di ricordarla». Per una pura casualità quel 2 aprile del 1985 non era in macchina con sua madre: «Invece di andare a scuola con mia mamma, a differenza del solito, fui accompagnata da una vicina di casa e passai sul luogo dell’attentato un quarto d’ora prima dell’esplosione». Strage di innocenti, «e raccontarla è come riviverla ogni volta» dice Margherita, protagonista di anni di solitudine e silenzi: «Quello che mi è mancato è stato parlarne con mio padre, morto nel ‘93. Lui non voleva mai aprire i discorsi, io non chiedevo per paura delle sue reazioni. Per anni abbiamo portato il dolore dentro». È arrivato don Luigi Ciotti e “Libera” perchè Margherita portasse la sua testimonianza nelle scuole di tutta Italia. Era giusto così, dire e raccontare la mafia, la strage, il ritrovarsi a dieci anni senza la mamma e i due fratelli. Raccontarla in Sicilia ma anche oltre lo Stretto, nei film e nei documentari.

«Oggi chi passa da quel luogo della memoria e del ricordo si ferma, lo hanno fatto moltissimi giovani trapanesi; continuano a farlo tanti cittadini comuni, segno questo che c’è una diversa coscienza civile – spiega Margherita Asta – ma si riscontra però anche troppa voglia di mafia, non ci si indigna più, l’illegalità diffusa è diventata normale. Ai giovani racconto sempre che la mafia non colpisce solo i suoi avversari diretti, giudici, forze dell’ordine, politici, giornalisti, ma può colpire chiunque. Mia mamma stava accompagnando i miei fratellini a scuola, non stava facendo altro. E la nostra famiglia non aveva mai avuto nulla a che fare con la mafia, neanche lontanamente. Per questo è necessario l’impegno di tutti». S’è fatta portatrice di valori civili Margherita Asta in questi anni, pronta a emozionarsi ogni qualvolta parla della strage e gli brucia la ferita: «Ci sono momenti in cui ti senti impotente, triste, perché sembra che combatti contro i mulini a vento; ma bisogna essere propositivi, anche se il dolore è grande e non ti abbandona, reagire è una necessità». In questi anni per ricordare la strage si è creata una sinergica rete creata tra le istituzioni, la scuola e il mondo associazionistico. «Vorrei guardare negli occhi chi ha pigiato il pulsante quel maledetto 2 aprile, che fece saltare in aria mia madre e i miei fratelli. Chiedergli perché l’ha fatto. Quella domanda è rimasta senza una risposta, sino a oggi. E, forse, per sempre».

Max Firreri

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