Grani di Vangelo/6

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“Due uomini salirono al Tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano”, leggiamo in Lc 18,10. Il “giusto” e il “peccatore”, colui che osserva la Legge e colui che la trasgredisce: entrambi davanti a Dio. Il fariseo ringrazia l’Altissimo per la propria giustizia; il pubblicano si batte il petto e chiede perdono per i propri peccati. Ma è costui, non il fariseo, a tornare a casa giustificato (cfr Lc 18,10- 14a). Come può l’obbedienza alla Legge non contare nulla e il peccato meritare giustificazione? “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato (Lc 18,14b) conclude la parabola. Si scardina qui la “teologia del merito” e si spalanca la logica del perdono, perché nessun vivente davanti a Dio è giusto (cfr Sal 143,2b). Così la giustizia umana viene bocciata, mentre si svela la gioia della giustificazione, che consola, accarezza e perdona chi è capace di dire col salmista: “Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe” (Sal 51,11).

Indispensabile è però la metánoia, la conversione che capovolge mentalità e giudizio. Bisogna porre stoffa nuova su abiti nuovi e versare vino nuovo in otri nuovi, “altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti” (Lc 5,37b). Gli otri non vanno spaccati, la Legge non è cancellata, perché ci consente la conoscenza del peccato (cfr Rom 3,20b) ed è per noi come un pedagogo (cfr Gal 3,24a). A giustificarci è però la fede: la fede che riconosce in Dio la salda roccia nella pericolosa mobilità del deserto; la fede dei bambini che si consegnano senza paura all’abbraccio del padre. Bisogna divenire come bambini, vivere la loro sapienza, perché solo a chi accoglie il Regno di Dio come un bambino saranno spalancate le sue porte (cfr Mc 10,15).

Erina Ferlito per Condividere

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