ANTONIO MERCADANTE
Ernesto Lamagna. I bronzi di Pantelleria
(edizione Lussografica)
| 2013 | pp. 108 | euro 22
È il decimo volume di una collana edita dal Centro Cammarata di San Cataldo, questo di Antonio Mercadante sulle sculture bronzee di Ernesto Lamagna per il SS. Salvatore di Pantelleria. Ed è il quarto dello stesso autore, che negli ultimi anni sta svolgendo con caparbietà, sottigliezza critica e originalità da esploratore un lavoro di campionatura dei tanti linguaggi artistici a torto considerati secondari in terra siciliana: grazie alla sua ricerca, e alla documentazione iconografico-documentaria raccolta, hanno ricevuto piena luce e definitiva valorizzazione maestri ottocenteschi della cera come Domenico Fasulo e repertori sacri e profani di altissima qualità, prodotti nell’Isola tra Sei e Ottocento. L’opera di cui trattiamo, tuttavia, ha un altro profilo. Nel volume, organizzato con un serrato saggio introduttivo di taglio storico e critico e con una serie di splendide tavole fotografiche che illustrano ed esaltano i bronzi del maestro Lamagna, l’autore dà prova di possedere in alta misura quel mestiere che a molti di noi storici dell’arte sembra ormai scomparso, quello del critico. Scomparso nel suo livello più eminente, intendo dire, e smarrito in un malinconico dilagare di parole che nella gran parte dei casi si affiancano ai fenomeni artistici, talora ne pilotano suggestioni e forme, fino al rischio di renderne inaccessibile la lettura e quindi irriconoscibile la qualità, in un fuorviante scambio di auctoritas e autenticità, tra opera e suo commento.
Il dono, subito avvertito, che lo scritto di Antonio Mercadante custodisce e con il quale accompagna al godimento delle sculture di Lamagna, è quello della semplicità espositiva e insieme della pienezza dei concetti. Una pienezza di senso che gratifica chi legge e mostra la sapienza di un mestiere, il suo, col quale chiunque sente, a torto, di potersi misurare. Le novanta immagini a corredo – scatti scelti e precisi quanto le parole – appaiono come un approfondimento semantico della lettura storico-critica dei bronzi panteschi, ne sono necessario sviluppo e magnifico complemento. Ma non basta. Il lavoro di Mercadante non si limita a commentare la serie di opere e a illuminarne le ragioni espressive e il valore estetico. Esse sono sottoposte a una lettura più ampia, vengono ambientate e poste in relazione con una tradizione figurativa che lo storico dell’arte, prima che il critico, evoca con sapienza e persuasività; e poi analizzate nella loro sistemazione liturgica, un tema intorno al quale egli mostra altrettanta competenza, rivelando possibilità di analisi in un dominio sospeso tra ideazione architettonica, contesto sacro e pregnanza figurativa da cui si ha molto da imparare. Quello dell’arredo sacro è infatti un ambito che ai più oggi appare anacronistico e indecifrabile.
Nel seguire lo sviluppo del saggio, del resto, si ha l’impressione che non si potesse fare che così. Giacché alle spalle della bella produzione pantesca di Lamagna si apre una vicenda tutta siciliana, e nondimeno tutta italiana. La complessa storia della Chiesa madre di Pantelleria infatti, che l’autore ci riassume con destrezza, ironia e non senza qualche nota malinconica, vede un primo monumento ecclesiale costruito nell’immediato dopoguerra dal grande architetto romano Enrico Del Debbio, impegnato in quegli anni a difendersi dai processi di epurazione cui fu sottoposto. La chiesa che ne derivò, frutto di una progettazione intensa e ragionata – la documentazione del lavoro è stata portata alla luce dallo stesso Mercadante in occasione di questa indagine e sarà presto oggetto di una sua analisi filologica – nel 2002 venne affrettatamente abbattuta, e insieme con essa si persero la maggior parte degli arredi e delle opere d’arte che vi erano state collocate; abbattuta per far posto nel 2011 alla nuova fabbrica, che oggi accoglie i bronzi sacri di Lamagna, ancora “spaesati da tanto candore”, come suggerisce l’autore.
L’esordio dello studio di Mercadante prende proprio le mosse da quel parallelepipedo rettangolo di cemento ideato da Gabriella Giuntoli e Antonella D’Orso per l’Isola non senza un qualche garbo, molto affine però, e forse troppo, a certe note invenzioni dell’archistar Tadao Ando. L’occasione permette al critico di affrontare subito, mentre illustra il poco che resta dell’arredo storico (un Crocifisso ligneo e la tavola dipinta con la Madonna della Màrgana), la prima tra le questioni che lo interessano, in questo processo di avvicinamento progressivo alle opere di Lamagna: da un lato la debolezza di una progettazione architettonica che, se pur rispettabile, sembra non assecondare appieno le esigenze cultuali e funzionali, ma anche ambientali, e si sovrappone senza frutto a certe ritrosie dei committenti di fronte all’autorità dei progettisti. Ma dall’altra egli lamenta l’assenza di un’ideazione generale, uno stile espressivo e funzionale che governi e indirizzi le scelte progettuali; e che, proprio in ragione di questo, finisca per dare giusta dimora all’illustre serie di bronzi sacri. Essi, invece, patiscono un iniquo disorientamento, ciascuno in diversa misura, che il critico motiva e chiarisce, non sottraendosi dal suggerire alcune soluzioni.
È una vecchia storia, quella della inadeguatezza di tante attuali esperienze di architettura e arredo ecclesiali, in relazione alla quale tuttavia Mercadante propone, per contrasto, qualche significativo indizio tratto dal carteggio inedito su cui sta lavorando, che vede Del Debbio dialogare nel 1947 con l’allora Arciprete della Chiesa madre. L’architetto romano mostrava una cura speciale nella scelta dei collaboratori per le decorazioni e i cicli devozionali, oltre che un piglio decisionista nei confronti del committente quando si trattava di scoraggiare alcune idee ridicole, come l’acquisto di una Via Crucis seriale proveniente dalla Val Gardena. Il carteggio che l’autore prevede di pubblicare offrirà uno spaccato di grande interesse, supponiamo, in merito ai sistemi di progettazione architettonica globale e concertata ancora di prassi fino al Dopoguerra. Questo strappo tra l’esperienza corale e sapientemente guidata di allora e la casualità dell’oggi, mostra un’imprevista apparente sutura nel momento in cui Lamagna riceve da nuovi e più avveduti committenti l’incarico per le statue sacre: esse vanno infatti a sostituire sull’Isola, del tutto casualmente, quelle ideate per la precedente chiesa da Emilio Greco, che fu suo stesso maestro in Accademia. L’artista tra l’altro, nel suo primo incontro con Pantelleria da turista, sul finire degli anni ’60, aveva riconosciuto il lavoro del maestro catanese trovandolo in cattivo stato di conservazione, e ne aveva invano sollecitato un adeguato recupero.
Comunque gli splendidi bronzi odierni sono collocati all’interno del parallelepipedo di cemento e talora riescono a chiarirne alcuni passaggi più oscuri. Il critico legge la sistemazione con sguardo attento e pedagogico, misura gli spazi passivi e sordi che dimorano le figure e ne rileva alcune incongruenze. Egli registra soprattutto la mancanza di un pensiero che stia all’origine e che chiami a sé, come in una sistemazione inevitabile, le opere di Lamagna. Le quali lo stesso, malgrado tutto, producono uno sbalorditivo riassestamento di cubature e volumi, tanta è l’energia espressiva che le anima. Il critico suggerisce una rilettura di queste due forze affrontate – i bronzi e i vuoti – osservando l’insieme di altare, ambone e scala sul presbiterio, abitati dalle presenze commosse e commoventi delle statue, e suggerisce alcune regole ambientative che si auspica trovino buona accoglienza presso la committenza.
Per Michelangelo era la legge ‘del porre’ a governare la creazione plastica e per questo decretarne la superiorità, e Mercadante reinterpreta questa posizione, ampliandone il significato, laddove i bronzi agiscono imperiosamente sui vuoti che li accolgono. Così l’angelo – tema assai frequente nella produzione di Lamagna – che segna il luogo dell’ambone è osservato nel suo dialogo formale con il Satiro danzante, capolavoro ellenistico riemerso negli anni Novanta e oggi gloria del museo di Mazara, la diocesi di Pantelleria. Il confronto stilistico suggerito sottolinea come l’ispirazione di Lamagna non si sottometta mai, tuttavia, a quel grande precedente ma piuttosto vi tragga “lo spunto poetico … senza alcuna nostalgia malinconica d’una età dell’oro perduta”. L’occasione del confronto spinge oltre la lettura dei bronzi di Lamagna, e porta Mercadante a cercare il passaggio di quella classicità, altrove assorbita se non imitata, “attraverso il cavo ombroso e nero in cui si rivolge oggi l’occhio mancante al guerriero di Riace, quel vuoto cieco che lo rende prossimo, comprensibile, fragile, umano, sottraendolo pur arbitrariamente all’intangibilità atemporale del mito”. Da lì parte, infine, il commento squisitamente critico che, tra l’altro, legge nell’incantevole figura dell’angelo l’interpretazione del relativo passaggio evangelico, tradotto dalla forza evocativa e trasfigurante della poesia in una “espressione credibile, di stupore e fermezza”, come suggerisce lo scrivente.
Questa lettura umanizzante delle statue di Lamagna attraverso i modelli antichi è estesa ai battenti esterni del portale di acciaio-corten su cui galleggiano due altri angeli bronzei, incantevoli portatori di un cesto d’uva e un’àncora crucigera, sospesi tra carne e spirito. Questa “armonia semplice che ci appartiene”, come la definisce il commentatore, ci aiuta a comprendere e dunque a percepire con i sensi il calore che tutti i pezzi in esame conferiscono agli spazi assoluti cui sono destinati, dentro e fuori dalla nuova Chiesa madre, e come quel ‘porre’ della materia nobile si amplifichi fino a un suo ‘essere posta’. Ancor più felici appaiono le pagine che Mercadante riserva all’altro gruppo di Lamagna. Nel corpo di fabbrica uno spazio cubico è stato destinato al Battistero, al centro del quale grandi blocchi di marmo bianco e rosa disposti a scacchiera aprono la discesa nella vasca battesimale ad immersione. Un nodoso ulivo lì a fianco fa ombra alle due figure bronzee stanti. Nel timido e scheletrico Battista e nell’assorto Gesù, sceso di qualche gradino nella vasca, il critico riconosce il dialogo più intenso e struggente con la narrazione biblica. Ne rileva “un’atmosfera di sospensione silente che seduce e attrae” e si sofferma sulla postura parlante dello splendido Giovanni, indicando la pietas tragica del suo gesto: il profeta apre le braccia quasi a tenersi in equilibrio e a mostrare la grandezza di ciò che indegnamente è chiamato a fare. Se in questo caso il vano destinato all’epifania sacra del Battesimo mostra un pensiero progettuale più congruo, Mercadante non può non sottolineare quanto poi la collocazione finale della vasca finisca per lasciar inadeguato spazio intorno e crei difficoltà nella celebrazione del sacramento. E ancora una volta l’ambiente non è all’altezza dell’ospite.
Nella ricostruzione dei modelli stilistici e formali dei due solenni bronzi, poi, il critico rientra nel solco del metodo storico-artistico e individua in un gruppo marmoreo di analogo tema scolpito negli anni Trenta del Seicento da Francesco Mochi – oltre che in altre prove dello scultore barocco – precedenti secenteschi recepiti o solo indirettamente rivissuti nella sensibilità plastica tutta contemporanea di Lamagna. La lettura storico-critica, quindi, si propone con successo di collocare i bronzi panteschi sulla scia storica della cultura ‘del porre’, dai Greci al Seicento barocco, passando per la drammatica disarmonia del Manierismo, fino alle esperienze dei più diretti modelli e maestri di Lamagna, dall’amato Fazzini, a Leoncillo, da Emilio Greco a Burri. L’utile sintesi biografica, infine, conclude il saggio critico e ci allinea le tappe più significative dello scultore napoletano, che dopo l’Accademia cresce e si consolida a Roma. La Roma che tra il Sessanta e i primi anni Ottanta, ricorda Mercadante che ne ha ben conosciuto gli epigoni, ancora consentiva ai giovani artisti di formarsi nelle botteghe degli artigiani e di confrontarsi con i grandi maestri, nei loro studi del centro storico e nelle bettole dove mangiare insieme con poco. La lunga e felice carriera di Lamagna, della quale l’autore non manca di riassumere i momenti più illustri, si legittima anche con la storia delle sue esperienze giovanili e degli incontri importanti. Un lavoro completo, quello che Antonio Mercadante dedica a Ernesto Lamagna e ai suoi bronzi per la Chiesa madre di Pantelleria. Un lavoro strutturato, da critico e da storico, da filologo e da fotografo, in un intreccio di competenza e sensibilità che guarda all’arte del maestro con l’esperienza di chi ha sempre fatto ricerca e con la chiarezza di chi vuole mediare tra l’arte e lo sguardo degli altri. È un altro mestiere del ‘porre’, non del levare. In un mondo in cui con troppa facilità, invece, si scosta la voce dell’arte per lasciar risuonare la propria.
Francesca Bottari