[DENTRO IL GIORNALE] Amoris Lætitia, la famiglia grembo delle relazioni

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Dopo aver discusso i primi mesi del capitolo VIII sulla questione della comunione ai risposati civilmente, cosa resta a cinque anni della sua promulgazione dell’Amoris Lætitia?Quali processi di formazione e accompagnamento ha avviato? In cosa sono cambiate le nostre prassi pastorali riguardo alle famiglie, soprattutto alle famiglie ferite e fragili? Credo siano queste le domande che abbiano spinto Papa Francesco a dedicare un intero anno proprio alla famiglia secondo Amoris Lætitia, oltre che allo sposo di Maria, san Giuseppe.

Non si tratta di avventurarsi in elenchi di attività e di programmi, anche perché la drammatica situazione pandemica li rende così distanti e staccati dalla realtà e dalle fatiche delle nostre case, da farli risultare finanche fastidiosi. Si tratta piuttosto di fare un’attenta azione di discernimento per capire come anche la famiglia stia cambiando nel nostro cambiamento d’epoca, alcuni addirittura parlano di post-famiglia, e di riconoscere quei germogli nuovi di reciprocità tra Chiesa e famiglie che cominciano a spuntare come segni di speranza e di un tempo nuovo della fede. Tutto nel contesto pandemico con la grammatica umana ed evangelica della Amoris Lætitia.

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La questione della salute da una parte e quella del lavoro dall’altro hanno posto nel grembo della vita che è la famiglia due categorie antropologiche che attendono la scelta del noi come relazione con la vita, e non più quella dell’io e dell’individualità: la fragilità e la precarietà. Queste riguardano tutti. Nessuno può dirsi estraneo o tirarsene fuori. È il tempo nuovo dove le relazioni di vicinanza e di supporto diventano i nodi forti dell’umano di una rete di fragili e di precari. «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18), ragione familiare delle origini, orienta i passi oltre il Covid verso l’altro, grazie a cui e con cui ho attraversato questa crisi. Nessuno esce da essa per come vi è entrato e nessuno ne esce da solo. La fatica a far accettare il reale pericolo degli assembramenti racconta anche paradossalmente di un umano delle relazioni che non vuole perdersi e dissolversi.

Tendere una mano diventa memoria e speranza del prendersi per mano. La solitudine degli anziani e dei malati diventa notizia di un umano che non possiamo dimenticare. Siamo relazione. Di questa identità comune la famiglia è il grembo. La vicinanza tra i familiari e tra le famiglie in ragione, ad esempio, delle fatiche per tutti di poter avere una stabilità economica con cui aspettare il ritorno alla normalità, raccontano di una capacità propria delle famiglie di costruire comunità. Comunità solidali, affidabili, più forti della precarietà e della povertà. Il Vangelo racconta di una famiglia che non ha trovato posto per far nascere il bambino (cfr Lc 2,7), di un padre che di notte apre al suo vicino per dare del pane e per custodire il sonno dei suoi figli (cfr Lc 11,5-8). Tra la cultura dello scarto e l’occasione di vivere esperienze comunitarie di vicinanza e di solidarietà, ecco il segno della famiglia, grembo delle relazioni, nostro nome comune, nuova reciprocità con la comunità che è la Chiesa.

E tutto questo è riflesso di quella comunità d’amore delle origini che è la Trinità. Scrive Francesco in Amoris Lætitia: «Il Dio Trinità è comunione d’amore, e la famiglia è il suo riflesso vivente. Ci illuminano le parole di san Giovanni Paolo II: il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che ha in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo».

don Vito Impellizzeri per Condividere

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