«La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!” […]. “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,19.21-22). L’autore del Quarto Vangelo mette in stretta relazione la Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo e la Pentecoste, descritta nel Libro degli Atti degli Apostoli. Entrambi costituiscono l’unico Evento del mistero pasquale. Non c’è risurrezione senza l’invio dello Spirito Santo, in quanto rischierebbe e rimarrebbe solo un racconto mitologico e metastorico e, allo stesso tempo, l’era dello Spirito non sarebbe possibile con l’esclusione della risurrezione in quanto disegno del Padre nell’economia della salvezza. A tal proposito si afferma: «Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi» (Gv 16,7).

Non è pensabile fare esperienza del Risorto se non si è unti dello Spirito, come dice l’apostolo Paolo: «nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: “Gesù è anàtema!”; e nessun può dire: “Gesù è il Signore!”, se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3). L’«ora» giovannea non è solamente l’«ora» della croce, ma è l’«ora» dello Spirito perché sul Gòlgota il Figlio consegna al Padre il suo spirito, per poi averlo elargito nel giorno della sua risurrezione. Altri due aspetti meritano di essere espletati per poter cogliere la stretta connessione tra la Pasqua e la Pentecoste. Innanzitutto, il dono della pace. Nei vangeli (cfr Mt 28,9; Lc 24,36b; Gv 20,19) si sottolinea questa relazione tra l’apparizione del Risorto e il dono della pace, primizia dei frutti dello Spirito (cfr Gal 5,22). Essa è definita da sant’Agostino «tranquillità dell’ordine», infatti, non è solo assenza di guerra e ansia, ma anche uno stato di pienezza e di integrità (shalòm), gioiosa sicurezza derivante dalla giustizia. La pace è benedizione, promessa da Yhwh al popolo fedele alla sua legge (cfr Nm 6,26), dono messianico annunciato dai profeti (cfr Is 2,2-5; Zc 9,10) e realizzato nella persona di Gesù in quanto «principe della pace» (Is 9,5) ed è «nostra pace» (Ef 2,14.17).
Il secondo aspetto riguarda la fisicità del luogo. L’ultima cena e l’invio dello Spirito vengono vissuti nella medesima casa, ovvero nella stessa stanza al piano superiore per indicare che si tratta dell’unico evento del mistero pasquale: «Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: “Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi”» (Mc 14,13-15); e, «entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi. […] Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo» (At 1,13. 2,1).
Il mandato e la missione degli apostoli di annunciare il kèrigma si colloca nella stretta relazione che intercorre tra l’evento della Pasqua e la Pentecoste. Non è possibile annunciare ed essere testimoni del Risorto senza essere sotto l’azione dello Spirito e senza che Questi dimori nella vita di ciascuno di noi, perché se Cristo è vivo e vive in noi è grazie allo Spirito e se ognuno è vivo interiormente e fa esperienza del Kyrios è sempre grazie allo Spirito di Dio.
don Nicola Altaserse
Direttore Ufficio liturgico diocesano