[BELICE/45° ANNIVERSARIO DEL SISMA] il Vescovo: «Non più tollerare stillicidio di erogazioni, si chiuda il capitolo»

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Quarantacinque anni dal terremoto. E ancora si parla di ricostruzione e di sviluppo. La Valle del Belice commemora i morti ma torna a sperare, «perché dobbiamo credere nel futuro, sperando contro ogni speranza e confidando nell’aiuto di Dio». Con la celebrazione eucaristica nella chiesa della Santissima Trinità a Salaparuta, presieduta dal Vescovo della Diocesi di Mazara del Vallo, monsignor Domenico Mogavero, si sono aperte le celebrazioni per il 45° anniversario del terremoto del 1968, che si concluderanno martedì a Gibellina.

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Il Vescovo durante la celebrazione eucaristica. Sullo sfondo, tra gli altri, gli onorevoli Giuseppe Marinello e Giovanni Lo Sciuto e il sindaco di Santa Ninfa, Paolo Pellicane.

La messa doveva essere celebrata ai ruderi, sulle macerie della vecchia matrice, ma la pioggia ha fatto cambiare programma nella mattinata di oggi. Chiesa gremita di cittadini e in prima fila rappresentanti delle istituzioni a più livelli: il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana Giovanni Ardizzone («il problema della Valle del Belice non può essere confinato qui»), i deputati Giovanni Lo Sciuto, Antonella Milazzo, Nino Oddo, Giuseppe Marinello, Paolo Lucchese, i senatori Tonino D’Alì (che ha letto il messaggio del presidente Renato Schifani) e Maria Pia Castiglione e i sindaci di alcuni paesi del Belice. «Qui la terra porta ancora i segni di quelle ferite profonde – ha detto il Vescovo nell’omelia – ma ancor di più l’animo di tanti suoi figli fu inaspettatamente e dolorosamente è stato segnato da quello sconvolgimento della terra che cancellò una storia, che ancora oggi non si riesce a riscrivere. Perché – ha detto ancora Mogavero – agli sforzi di tanti non è corrisposta l’adesione fattiva e solidale di chi avrebbe dovuto esercitare un’azione saggia e promozionale finalizzata a far diventare la tragedia della Valle una ferita del Paese, approntando con intelligenza progettuale le risorse per la ricostruzione strutturale dei paesi terremotati e soprattutto per ricostruire il tessuto umano e produttivo del Belice. E invece, anno dopo anno, la ricorrenza-anniversario assume sempre più i tratti di un rituale stanco e ripetitivo di commemorazioni, appelli e rimostranze».

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Don Salvatore Pavia e sullo sfondo, tra gli altri, il coordinatore dei sindaci Nicola Catania, il sindaco di Salaparuta Rosario Drago e il presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone.

 La ricostruzione, dunque, a 45 anni dal terremoto non è stata ancora conclusa: mancano 390 milioni di euro. Ma si guarda allo sviluppo, «oltre il terremoto» ha detto il coordinatore dei sindaci Nicola Catania. «Intendo sollecitare tutti a pensare specialmente ai giovani, disorientati per mancanza di prospettive di sviluppo in questo territorio che ha bisogno della loro insostituibile presenza e operatività – ha detto il Vescovo. Se è vero che negli anni immediatamente successivi al disastro sono stati compiuti non pochi errori, soprattutto politici ai diversi livelli, questo non può costituire una ragione per aspettare giustizia passivamente».

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Il sindaco di Salaparuta Rosario Drago.

 Ed ancora il Vescovo: «È assolutamente vero che il domani di questa magnifica ma sfortunata Valle è tutto e solo nelle nostre mani, purché siamo capaci di valorizzare e mettere a frutto le risorse, non poche, di cui è dotata: la terra con le sue colture tipiche, il mare, i beni culturali, il turismo. Pur nella consapevolezza che si tratta di comparti afflitti da criticità gravi, su tali basi è possibile delineare prospettive di sviluppo, accreditate dal valore aggiunto dell’azione concorde e coordinata di tutti: politici, imprenditori, esponenti del mondo della cultura, comunità ecclesiale».

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Ciò che rimane della vecchia chiesa madre di Salaparuta, crollata col sisma del ’68.

Il coordinatore dei sindaci Nicola Catania ha dato lettura del messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Le drammatiche conseguenza di quel sisma impongono un responsabile impegno a ripristinare con celerità ed efficacia i tessuti sociali ed economici devastati – ha scritto Napolitano – si operi affinché i processi di trasformazione del territorio siano realizzati con l’attenzione dovuta a sicurezza, incolumità, rispetto dell’ambiente e le sue insostituibili risorse».

Lo scrittore Vincenzo Consolo durante una fiaccolata a Salaparuta, in occasione di un anniversario del terremoto nel Belice.
Lo scrittore Vincenzo Consolo durante una fiaccolata a Salaparuta, in occasione di un anniversario del terremoto nel Belice.

Testo e foto di Max Firreri

 

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3 Commenti

  1. “Che del doppio fallir del padre Edippo / anco noi che viviam portiam la pena. / Nulla cosa, infelice, nulla al mondo / più di miserie o di vergogna avanza”. Classico exemplum letterario della trasmissione ereditaria della colpa, quello presentato dal doloroso canto di Antigone, riaffiora alla memoria ogni qual volta ci si ritrova a parlare delle ricadute presenti degli errori del passato. Riaffiora oggi, sempre più spesso, nel constatare quanto del malessere delle comunità e, in particolar modo, delle più giovani generazioni sia derivato dall’incapacità previsionale e dall’irresponsabilità gestionale (non sempre ma troppo spesso congiunte all’interesse privato e/o di categoria) da coloro che li hanno preceduti. Nel caso specifico, è a tutti noto lo spreco dei fondi destinati alla ricostruzione e al rilancio socio-economico del Belice. Fondi che, seppure insufficienti o non sempre completamente erogati, sono stati assai ingenti. Uno spreco esitato nella costruzione di gigantesche scatole vuote, di opere totalmente decontestualizzate, di impianti urbanistici assolutamente distanti dalle comunità che avrebbero avuto il destino di abitarvi. Tutto questo accompagnato dal dispregio delle regole (giustificato dall’emergenza!), del paesaggio, dell’ambiente e sopra ogni cosa dell’uomo e della sua memoria culturale. Fondi che, se opportunamente investiti e oculatamente amministrati, avrebbero potuto garantire un presente di benessere e di speranza.
    Per questo mi sento di condividere le parole di Monsignor Mogavero e, particolarmente, il suo appello alle comunità e ai giovani perché si riapproprino del proprio patrimonio culturale, ambientale e ergologico e sappiano trarre da esso le risorse necessarie a garantirsi un futuro migliore. E, tuttavia, poiché è profondamente ingiusto che il figlio paghi le colpe del padre, che sconti una condanna che non ha meritato per un delitto che non ha compiuto, la classe politica e le amministrazioni pubbliche devono garantire le condizioni e offrire le risorse perché i processi virtuosi innescati e gestiti ‘dal basso’ possano giungere a buon fine: con lungimiranza e competenza e senza più perseguire interessi che non siano quelli del bene comune e dello sviluppo. In questo senso il ruolo delle istituzioni diocesane risulta essere fondamentale. La terzietà e la autorevolezza della Diocesi e del suo Vescovo, fondate sugli ineludibili principi evangelici di equità e di giustizia e sul senso di ‘communitas’ che la miglior parte della Chiesa ha sempre promosso e nutrito, gli consente di farsi Giudice e Guida imparziale e affidabile; gli consente cioè, sospinta dal solo interesse per il bene comune e per la maturazione spirituale, di guidare e coadiuvare i volenterosi e di coordinare e gestire quei processi di rilancio sociale ed economico che non possono più tardare ad essere realizzati nell’area belicina.

  2. C’è bisogno che si creino delle reali opportunità per le persone che vivono questi luoghi. La responsabilità più grande per le istituzioni è creare i presupposti affinché le persone possano ritornare a riappropriassi del propri territori e della propria memoria attraverso il lavoro. Non serve l’assistenzialismo sterile, utile solo a far vetrina per i politici di turno. Innescare un processo culturale e consapevole è ciò di cui dovrebbe farsi carico la classe politica inquanato prima responsabile.

  3. «È assolutamente vero che il domani di questa magnifica ma sfortunata Valle è tutto e solo nelle nostre mani, purché siamo capaci di valorizzare e mettere a frutto le risorse, non poche, di cui è dotata: la terra con le sue colture tipiche, il mare, i beni culturali, il turismo. Pur nella consapevolezza che si tratta di comparti afflitti da criticità gravi, su tali basi è possibile delineare prospettive di sviluppo, accreditate dal valore aggiunto dell’azione concorde e coordinata di tutti: politici, imprenditori, esponenti del mondo della cultura, comunità ecclesiale» (cit. monsignor Domenico Mogavero)
    C’è bisogno che si creino delle reali opportunità per le persone che vivono questi luoghi. La responsabilità più grande per le istituzioni è creare i presupposti affinché le persone possano ritornare a riappropriassi del propri territori e della propria memoria attraverso il lavoro. Non serve l’assistenzialismo sterile, utile solo a far vetrina per i politici di turno. Innescare un processo culturale e consapevole è ciò di cui dovrebbe farsi carico la classe politica inquanato prima responsabile.

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