[LA RIFLESSIONE] Quel portone chiuso della Basilica a Gerusalemme segno di una protesta che richiami il mondo

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Cara Nasra Dahdal, ho ricevuto ieri da Gerusalemme la foto che mi hai inviato. Ho visto così l’antico portone in legno della nostra comune Basilica del Santo Sepolcro chiuso, in pieno giorno. Mi scuserai se spiego, a vantaggio degli amici che ci leggono, perché ho scritto “nostra comune Basilica”. Tu sei stata l’insegnante di arabo di mio figlio e ci siamo frequentati per tanti anni a Gerusalemme. Sei dunque una donna araba e palestinese, di fede cristiana ma ortodossa. Il tuo Patriarca è infatti Teofilo III, greco ortodosso. Da te ho imparato che le differenze e le incomprensioni tra i cristiani ortodossi e i fedeli cattolici (quelli come me che a Gerusalemme vengono comunemente definiti cristiani latini) appartengono più alla storia che alla cronaca, e riguardano più le nostre gerarchie ecclesiali che noi semplici fedeli.

Ebbene la tua foto mi è sembrata l’appello di un’amica a un cristiano tornato in Europa, dopo molti anni vissuti a Gerusalemme. «Non dimenticarti di noi, non ignorare la nostra protesta» c’era scritto sotto quella foto. Quel portone, mi hai spiegato, è stato chiuso ieri (ma anche oggi rimane sprangato) per volontà delle nostre gerarchie unite nella denuncia e nella protesta. È stata la comune volontà del tuo Patriarca Teofilo III, del Custode di Terra Santa il francescano Francesco Patton e del Patriarca armeno Nourhan Manougian a far chiudere il portone della Basilica del Santo Sepolcro. Per attirare l’attenzione del mondo, e anche la mia, contro una proposta di legge, per la tassazione dei beni di proprietà delle Chiese cristiane e delle sedi dell’Onu che assistono i rifugiati palestinesi, presentata al Parlamento israeliano, la Knesset. Doveva essere approvata già ieri, ma poi i politici israeliani hanno deciso di rinviare di una settimana l’approvazione finale. La vostra protesta un primo, ancor piccolo, risultato quindi lo ha ottenuto.

Il portone della Basilica del Santo Sepolcro.

Il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat, minimizza e dice che le tasse municipali non verrebbero applicate ai luoghi di culto ma solo alle pertinenze che fanno anche reddito (le case affittate o gli alberghi per pellegrini). Io so bene, dai tuoi racconti, quanto siano alte le tasse che voi, arabi cristiani, pagate allo stato d’Israele. E so anche che la permanenza dei cristiani a Gerusalemme, soprattutto dei più poveri, si lega all’aiuto delle Chiese che affittano loro case a prezzi ribassati. Insomma per sostenere le Chiese cristiane e soprattutto i cristiani a Gerusalemme c’è bisogno di fonti di reddito certe e costanti. Altrimenti bisognerà vendere via via pezzi di patrimonio, immobili e terreni. È forse questo ciò che vogliono i governanti di Israele e il sindaco di Gerusalemme? Questa città, in verità, per il presidente americano Donald Trump dovrebbe diventare la capitale di Israele, senza tener conto della storia e delle aspirazioni dei palestinesi.

Adesso, scrivono a noi i due Patriarchi, quello greco ortodosso e quello armeno, e il Custode francescano di Terra santa, si compiono «atti che violano gli accordi esistenti e gli impegni internazionali che garantiscono i diritti e le prerogative delle Chiese in quello che appare un tentativo di indebolire la presenza cristiana a Gerusalemme». Carissima Nasra, ti saluto ma stai pur certa, che per amor di giustizia, non ti dimenticherò.

Filippo Landi per Condividere

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